Non è vero che in una squadra bisogna essere tutti amici.
E non è vero che si debba sempre andare d'accordo.
Questa idea, per quanto rassicurante, è fuorviante.
Una squadra non è un gruppo di persone che si somigliano.
È un insieme di professionisti con visioni, esperienze, caratteri e sensibilità diverse.
E, proprio per questo, le divergenze non sono un’anomalia da evitare. Sono un valore da gestire.
Il disaccordo non è un segnale di debolezza.
È un’opportunità per crescere, capire meglio le alternative, migliorare una decisione, rafforzare la fiducia.
Una squadra matura non teme il confronto.
Non evita le discussioni.
Non cerca l’uniformità a tutti i costi.
Cerca nuove idee. E sa che nuove idee, a volte, emergono solo quando due idee si scontrano e ne nasce una terza, più solida.
La parola “conflitto”: tra etimologia e significato costruttivo
Spesso la parola “conflitto” viene associata a tensioni, difficoltà o scontri negativi.
Ma il suo significato originario e la sua etimologia ci aiutano a cogliere un’accezione più ampia e anche positiva.
“Conflitto” deriva dal latino conflictus, participio passato di confligere, “con-” (insieme, con) e “fligere” (colpire, battere, urtare)
Inizialmente indicava uno scontro fisico, un urto diretto tra due o più parti.
Ma il prefisso “con-” non va visto solo come un indicatore di scontro fine a sé stesso.
Può anche suggerire la possibilità di un’interazione diretta insieme, cioè un confronto tra parti diverse che, pur scontrandosi, hanno l’obiettivo implicito di trovare una sintesi o un risultato condiviso.
Questa doppia natura fa del conflitto non solo una battaglia o un contrasto, ma anche una dinamica fondamentale per il cambiamento, per la crescita e per l’innovazione.
Questa visione è al centro anche del recente libro dell’amico Sebastiano Zanolli, Guerra o pace. Diversità e conflitto come punto di partenza per un destino comune nella vita e sul lavoro. (ROI Edizioni)
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"Guerra e conflitto non sono sinonimi, per quanto la comunicazione oggi li usi come tali. (…) La guerra ha a che fare con la violenza e la sopravvivenza, mentre il conflitto attiene all’area delle relazioni e dei punti di vista” guerra è violenza, per quanto organizzata. Il conflitto, invece, è quasi sempre uno scontro alla ricerca di un punto comune. (...) Il conflitto è manifestazione, a volte accesa, di opinioni, di espressione. È spiegarsi meglio, ad alta voce."
È una distinzione cruciale, approfondisce Sebastiano Zanolli: “Se crediamo che i conflitti siano portatori di guerra e chiaro che (…) come manager cercheremo in ogni modo di evitarli. (…). Se invece li intendiamo come momento di crescita e ricerca dell’armonia, allora di affronteremo con saggetta, pazienza e metodo.
Il conflitto incoraggia nuovi approcci e modi di pensare, fa sorgere domande nuove.
Il conflitto fornisce delle opportunità di ripensamento e riorganizzazione.
Il conflitto, quando preso dal verso giusto, modella nuove relazioni.
Il conflitto fornisce materiale e humus adatto all'innovazione, in ogni senso possibile.
Infine, il conflitto è propedeutico al cambiamento di comportamenti, processi e prodotti che comunque sono una costante necessaria per rimanere sul mercato, molto di più di quanto non lo sia una pace rigida, che costringe a una difesa intransigente dello status quo.”
Il problema, quindi, non è il conflitto. Il problema è non saperlo gestire.
Il punto non è eliminare i conflitti, ma dotarsi degli strumenti giusti per gestirli.
Gestire bene il conflitto è un’abilità manageriale
Gestire bene il conflitto è un’abilità manageriale sottovalutata.
Troppo spesso si confonde il conflitto con la disfunzione.
Ma un team che non discute mai è, più probabilmente, un team che evita.
Che accumula tensioni sotto traccia. Che rinuncia a confrontarsi davvero.
Che scambia il quieto vivere con l’efficienza.
In altre parole, un team che ha paura.
Il problema vero emerge quando si evitano i confronti per paura o per abitudine: lì l’azienda perde.
Perde innovazione, perde velocità, perde credibilità.
Perché le decisioni migliori non nascono dal silenzio, ma dal confronto autentico.
Alla fine, una squadra non è forte perché non ha conflitti.
Lo è quando sa gestire bene i conflitti: con metodo, con rispetto, e con la consapevolezza che dalla divergenza può nascere una direzione più chiara, una coesione più autentica, un risultato più robusto.
In Scotwork, lo vediamo ogni giorno: I leader più efficaci non disinnescano il conflitto. Lo allenano.
Incoraggiano il dissenso costruttivo, proteggono lo spazio del confronto, fanno sì che ogni voce — anche la più scomoda — abbia modo di emergere.
Perché sanno che ogni disaccordo gestito bene rafforza il team. Non lo indebolisce.
Una squadra matura non evita i contrasti: li attraversa.
Non cerca l’uniformità, ma valorizza il confronto.
Non pretende che ci si “voglia bene”, ma coltiva rispetto, chiarezza, fiducia.
Gestire i conflitti non è solo questione di carattere.
È una competenza che si può allenare, con metodo e consapevolezza.
E fa la differenza tra un team che si limita a evitare problemi e uno che li affronta, li risolve, e ne esce più forte.
👉 In Scotwork aiutiamo manager e team a trasformare il disaccordo in dialogo, e il confronto in una leva concreta per il cambiamento.
Se vuoi capire come portare questo approccio nella tua organizzazione, contattaci per una consulenza o una sessione introduttiva.
Saremo felici di ascoltarti.